La verità sul Commissariamento dei Frati Francescani dell'Immacolata

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PADRE STEFANO MANELLI, CON ESOTERISTI, MAFIE E MASSONERIE

L’elezione di un Papa, scelto «quasi alla fine del mondo», era la naturale premessa perché la Chiesa, guardando la realtà da altri orizzonti, potesse riprendere coscienza della propria identità, della propria funzione, e ridefinire così le linee e gli obiettivi dell’azione evangelizzatrice. Insomma, una Chiesa più attenta ai «feriti» dalla vita, a quanti hanno più bisogno. Una Chiesa più centrata sulla dimensione pastorale dell’esistenza delle persone. Una Chiesa più collegiale, più sinodale, come dire che ogni Chiesa locale avrebbe potuto realizzarsi nel proprio tempo e nel proprio luogo. E invece, ciò che era nuova vitalità, nuovo modo di vivere la vocazione cristiana, è stato visto come una minaccia da quanti erano ancora legati al vecchio sistema clericale come P. Stefano Manelli.

Una Chiesa autoreferenziale, e dove l’attenzione ai poveri, agli esclusi, è sostanzialmente una forma di promozione sociale, e non il «cuore» del messaggio di Cristo. Inoltre, proprio durante il commissariamento dei Francescani dell’Immacolata cominciava a crescere il malcontento per un governo che procedeva in maniera discontinua, improvvisata, altalenante. Tipico di un Papa gesuita, pragmatico, abituato a mettere in moto dei «processi», ad aspettarne gli sviluppi, la maturazione, e quindi a rimandare le decisioni. Tutto il contrario del formalismo scolastico che imperava ancora negli ambienti della Curia romana fino al 2013. Tutto il contrario di una precettistica mai messa veramente da parte, e soprattutto il contrario delle ferree leggi contenute nel Codice di diritto canonico o peggio nei “galatei” manelliani. Una novità di peso dove vigeva comunque la legge dei “due pesi e due misure” e tanto fariseismo come nella conduzione di governo del Manelli. L’elezione di un Papa come Bergoglio, rimasto fuori dai contrasti post-conciliari, sembrava oggettivamente preludere al dissolversi del clima di stagnazione che da qualche tempo aleggiava sulla comunità cattolica. E che era la diretta conseguenza dell’intellettualismo, del bizantinismo, di molti dibattiti teologici. E, più ancora, delle dispute attorno al falso dilemma continuità-discontinuità (della Chiesa, plasmata dal Vaticano II, rispetto alla Chiesa di prima), dispute che avevano letteralmente bloccato l’opera di attuazione del Concilio.
Padre Stefano Manelli se ne fece stupidamente promotore organizzando un convegno a un passo dal Vaticano, nella sala di conferenze dell’istituto delle Suore di Maria Bambina nel dicembre 2009.
Assecondò le elucubrazioni di Mons. Brunero Gherardini, ospite ingrato della canonica di S. Pietro che per anni ha gufato contro le riforme postconciliari.
Il professore di teologia toscan-pratolino – pace all’anima sua – scrisse un libro contro il Vaticano II intitolato “Un discorso da fare”,  che il Manelli si preoccupò di stampare e diffondere attraverso l’ormai compromesso marchio di “Casa Mariana Editrice”.

Da fonte certa sappiamo che quando Benedetto XVI lesse appunto il libro “Vaticano II, un discorso da fare”, ne rimase contrariato e disgustato.
In Francia sempre questo libro fu tradotto e distribuito dalla Fraternità Sacerdotale di S. Pio X          (i Lefebvriani)!
L’editrice ha pensato vigliaccamente di farlo sparire dal catalogo per nascondere l’arma del delitto dalla canna fumante dopo i lauti guadagni da opera di nicchia…

Il Manelli poi fu così maldestro da associarsi al Cardinale Raymond Leon Burke, una creatura della più becera destra repubblicana statunitense e da quella politica promosso agli alti ranghi della Chiesa Cattolica quale “Cavallo di Troia” all’interno delle Mura Leonine.

A Trisulti è diventato da poco presidente del consiglio di amministrazione dell’Istituto Dignitatis Humanae finanziato in gran parte da Steve Bannon, fondatore del  sito di estrema destra “Breitbart” e stretto collaboratore di Donald Trump fino al licenziamento dalla Casa Bianca.

Quello a cui puntano i due americani B & B: il presule Burke e il banchiere strategista Bannon, è «la ridefinizione dell’Occidente come un’entità nazionalista e cristiana sul piede di guerra contro i barbari».
Ci tentò la Fondazione Lepanto di Roberto De Mattei a Santa Babina in Roma, ma i risultati finora sono stati mediocri.
Ancora meno ha fatto in Italia la crociata del vescovo emerito di Ferrara Luigi Negri e i vari siti e blog come “La Nuova Bussola Quotidiana” e “Bastabugie” di spessore strategico quasi inesistente e con una certa popolarità fra cattolici in buona fede, ma poco eruditi sui massimi sistemi , sul “dietro le quinte”.
Lo strumento per sviluppare il progetto dei teo-con (movimento dei nuovi conservatori in nome della religione cristiana) è la battaglia culturale, una guerriglia che si combatte a forza di slogan e di ideologie.
Parlando ai sostenitori di Marine Le Pen in Francia, Bannon l’ha messa giù così: «Lasciate che vi chiamino razzisti, xenofobi, nativisti, omofobi e misogini: anzi, andatene fieri!»
Poi, c’è la ridefinizione dell’Unione europea. E qui la cosa si fa (relativamente) complessa, perché Bannon è sì un’anti-europeista ma è anche un occidentalista. Non parla mai apertamente della distruzione del progetto europeo. Piuttosto, vuole che esso cambi,  attraverso lo smantellamento della moneta unica e la sconfitta dei valori liberali e universalisti, e che si trasformi in una “confederazione di Stati liberi e indipendenti”. Con il vecchio continente, del resto, ha un rapporto stretto anche perché l’ondata populista è iniziata qui prima che negli Usa.
Quello che ha in mente è «un nuovo mondo che inizia dall’Europa», legati a una Chiesa strutturata in senso gerarchico, piramidale, dove l’universalità viene identificata con il «centro», con Roma, mortificando le periferie e considerandole semplici «appendici».

E invece, proprio ciò che di nuovo impersonava il nuovo Papa –l’impostazione pastorale e missionaria, il rilancio del Vaticano II e, in particolare, una vera decentralizzazione – non solo ha messo in allarme molti degli stessi cardinali che avevano eletto Bergoglio; ma, per reazione, ha fatto uscire allo scoperto l’opposizione di un fronte tradizionalista, che si era rafforzato, volente o no Benedetto XVI, sul finire del precedente pontificato. E che adesso tirava fuori gli artigli.
Proprio nell’annus horribilis della defenestrazione manelliana – quando il rimosso Padre Stefano scappò quasi dalla finestra del convento per sfuggire all’obbedienza del Commissario Apostolico simulando ricoveri in una clinica privata (a cinque stelle) in odore di Camorra – si stava preparando il congresso euro-russo.
Esso ebbe luogo in Austria nel mese di luglio del 1994.
Furono presenti vari aristocratici (Sisto di Borbone di Spagna e il Principe del Liechtenstein), intellettuali e cattedratici europei e russi. L’operazione però rischiava di essere sabotata dall’interno.
Tra i partecipanti vi era Aleksandr Dugin, il quale si era presentato come porta-parola di Putin e dei valori tradizionali, quelli che dovrebbero unire oggi l’Europa alla Russia.
Qualcuno che lo conosce da molto tempo, personalmente e molto bene, mi ha detto che Dugin è cambiato, si è convertito; io me lo auguro fortemente, ma bisognerebbe poterlo constatare e provare oggettivamente e pubblicamente, dato che i suoi errori sono stati professati da lui in pubblico e per iscritto.
Se i politici europei (marionette nelle mani dell’Alta Finanza e dei Club o Think-Tank mondialisti israelo/americani) fanno finta che il re sia vestito (ossia, che l’Europa stia in piena “salute”), mentre invece “il re è nudo”, alcuni pensatori del Vecchio Continente si stavano svegliando e dopo aver scritto su questo argomento cominciarono a unire le loro forze in vista di arrestare il “trasbordo ideologico/finanziario inavvertito” verso la plutocrazia israeliano/americana e di vedere se non convenisse stare con Putin piuttosto che con Washington, Tel Aviv o “Bruxelles”.
In questa congiuntura geopolitica partì l’avventura del pontificato bergogliano lottando contro quelle forze che volevano fare ancora una volta del  Vaticano un catalizzatore di legittimazione politica del nuovo corso della storia con nuove alleanze e una lavatrice – a mezzo IOR – dei conseguenti flussi finanziari di dubbia provenienza.


L’unico italiano presente era il professore barone Roberto De Mattei. Questo personaggio è stato dall’inizio del XXI secolo la coscienza storica del Padre Manelli.
Stefano Manelli non aveva la cultura per capire la politica tra gli Stati e tampoco quella ecclesiale, ma il baron De Mattei sì.
Mentre il Manelli credeva di poter profittare di lui, in realtà fu il barone che profittò del Padre Manelli per aumentare la sua visibilità investendo in un istituto che dispone di editrice, pubblicazioni, radio e televisione in Italia e all’estero: “Piatto ricco, mi ci ficco!”
De Mattei  è stato Consigliere per le questioni internazionali dell’allora ministro degli Esteri Gianfranco Fini nel 2002/2003 e lo ha accompagnato alla City di Londra. Inoltre De Mattei è risultato essere membro della Heritage Foundation di Washington, che è uno dei Think-Tank più influenti degli Usa, fondato nel 1973 durante la Presidenza (1968-1974) del repubblicano Richard Nixon, un’Associazione “culturale”, molto simile alla Mont Pelérin Society, vicina al Partito Repubblicano e ai teo-con. Nel suo Statuto si legge che essa si prefigge di “elaborare e promuovere strategie politiche basate sui principi del libero mercato, della limitazione dell’intervento statale, delle libertà dell’individuo, dei valori americani tradizionali e della difesa nazionale statunitense”. La Heritage, inoltre, diffonde la rivista bimestrale di cultura politica neo-con Policy Review su cui scrivono i più illustri libertari, neo-liberali e anarco/liberisti statunitensi (v. N. Gingrich, P. Gramm, D. Armey, B. Bennett, Bill Kristol…), che sono stati gli ideologi della “guerra preventiva” del Presidente Bush jr. contro la “canna fumante” di Saddam Hussein nel 2003 e la bufala pretestuosa delle armi distruttive di massa per eliminare lo scomodo presidente e gettare l’Irak nel caos.
Come si vede il programma della Heritage Foundation è molto simile a quello del Bilderberg, della Trilateral della Mont Pelérin Society, e del Club di Roma, cioè i livelli più alti del governo e dell’economia globale, superiori alla stessa Massoneria.

All’inizio del commissariamento dei Francescani dell’Immacolata, Roberto De Mattei volle aiutare il dissenso manelliano da acceso attivista.

Sentiva minacciati interessi in gioco propose all’allora economa generale Madre Maria Consiglia De Luca (al secolo Carmela e oggi fuoriuscita dall’Istituto) modalità di volatilizzazione delle liquidità presenti nelle casse delle Associazioni dei Francescani dell’Immacolata che ne gestivano le temporalità.
Sul suo sito “Corrispondenza Romana” organizzò una petizione alla quale chiunque poteva votare e rivotare a oltranza. Malgrado questo espediente raggiunse appena le ottomila firme.

In tempi recenti ha accordato tanto spazio al frate dissidente P. Paolo Siano offrendogli una vetrina per i suoi reiterati attacchi all’autorità ecclesiale: pontificia,  dicasteriale e commissariale.

Un frate studioso di Massoneria che aiuta i Frammassoni?

Non c’è da sorprendersi se l’avvocato difensore del Manelli (altro defenestrato) Enrico Tuccillo di Napoli facesse parte della Libera… Muratoria, dettaglio di non poco conto dall’interessato mai negato.
Tornando a Dugin, c’è una cosa che lo accomuna a Roberto De Mattei: un certo amore per Israele e per De Maistre.
Infatti Dugin ha scritto: « 1°) la Russia deve sostenere i valori di Israele; 2°) “come guénoniano, considero De Maistre un personaggio molto positivo. La conferenza tradizionalista titolata: ‘Le Serate di Pietroburgo’ in onore di Joseph De Maistre era l’ammucchiata tra tradizionalisti e conservatori di diversi Paesi, europei ed asiatici per ripensare la tradizione conservatrice in generale».
Non entriamo nel merito di René Guénon e seguaci, conosciuto anche come Shaykh ‘Abd al-Wahid Yahya dopo la conversione all’Islam e noto teosofico  esoterico cha ha cercato di conciliare sufismo e Libera Muratoria in nome delperennialismo quale antitodo alla modernità aborrita anche dal Padre Manelli per ragioni sue però più nostalgiche e paranoiche.
Appare chiaro il tentativo di esportare anche nella Russia di Putin l’ideologia neo-con (il neoconservatorismo) della Rivoluzione/conservatrice di Burke, De Maistre, Kirk, Popper, Hayek, Mises e “Fratelli”…
De Mattei sostiene la tesi della conciliabilità tra il giudaismo attuale e il cristianesimo, nell’ottica teo-con dello “scontro di civiltà” (Samuel Hungtinton) contro l’islamo/fascismo.
Inoltre pure De Mattei è un ammiratore di De Maistre di cui ha curato il Saggio sul principio generatore delle Costituzioni umane (Milano, All’insegna del pesce d’oro, 1975).

Infine occorre sapere che l’allievo russo prediletto di De Maistre: Pëtr Jakovlevič Čaadaev (Mosca, 1794-1856) riprende il tema caro al Savoiardo dell’instaurazione del Regno di Dio sulla terra, in un senso millenaristico e diverso dal Regno sociale di Cristo insegnato dalla Chiesa romana (cfr. Pio XI, Enciclica Quas primas, 1925). Infine per Čaadaev il Cristianesimo (romano, ortodosso/scismatico e protestantico, che sarebbero tutti e tre la Chiesa di Cristo) è una forza

propulsiva che dovrà riunificare il mondo sotto di sé, superando le fratture prodottesi col Luteranesimo e l’Ortodossia/scismatica.
Secondo il De Maistre la Massoneria spiritualista non è cattiva in sé, come ha insegnato la Chiesa in oltre 580 documenti magisteriali di condanna (dal 1738 al 1983), ma può essere utile per la “riunificazione” dei protestanti, degli scismatici orientali detti “Ortodossi” e dei cattolici, basandosi non sulla Fede teologale e soprannaturale (che è un assenso dell’intelletto, mosso dalla volontà e soprattutto dalla Grazia divina), ma sul “sentimento o esperienza religiosa”.
Per la “riunificazione”, non per la conversione ed il rientro dei luterani e degli scismatici “Ortodossi” nella Chiesa di Cristo, che è solo quella romana (cfr. Pio XII, Enciclica Mystici Corporis, 1943).
Quel che preoccupa è soprattutto “l’entrismo” ben mascherato di De Mattei in ambiente “tradizionale” e un po’ di meno quello di Dugin.
Ora se Dugin è abbastanza “scoperto” e, quindi, meno pericoloso perché non può ingannare più di tanto, Roberto De Mattei a partire dal 2010 ha pubblicamente, fatto un’inversione di rotta ritornando alle posizioni cattoliche tradizionali della TFP (Tradizione, Proprietà e Famiglia) e di Alleanza Cattolica ante 1980. Infatti sempre a partire da quell’anno le due Associazioni suddette cominciarono a dire, in maniera sempre più esplicita, che la “crisi” neo-modernistica nella Chiesa con il Pontificato di Giovanni Paolo II era oramai superata.
Lo stesso De Mattei lo riteneva e parlava e parla ancora di Benedetto XVI come di una sorta di Papa restauratore della Tradizione.
Con il Pontificato di Francesco De Mattei è passato apertamente e pubblicamente all’opposizione, ma in privato restano, oggettivamente, le ombre di cui sopra si è detto.
Gli antimodernisti meno avvertiti come il Padre Manelli sono de facto caduti nel “trasbordo ideologico inavvertito” verso la teologia moderatamente (quanto ai modi, ma non alla sostanza) modernista post-conciliare chiamata “tradi-protestantesimo” di coloro che amano tanto Putin senza che il Presidente russo lo sappia e odiano tanto il Papa senza che il Vicario di Cristo li consideri però più di tanto.

M.L.C.

PADRE STEFANO MANELLI: MONDANO O MONTANISTA

 “Manelliani” e “manellismo”  sono due neologismi del lessico teologico e sociologico cattolico attribuibili rispettivamente alla compagine degli adepti di P. Stefano Manelli e alla sua ideologia.
Stiamo parlando del casus belli antibergogliano sul controverso personaggio del fondatore dei Francescani dell’Immacolata commissariato nel 2013 dopo ventitré anni di ininterrotto governo assoluto su frati, suore e… laici.
In un’Università Pontificia si sta preparando una tesi di Licenza – che sarà successivamente ampliata come lavoro dottorale – sulle devianze dei fondatori di nuovi istituti religiosi sorti nell’ultimo cinquantennio.
Il Manelli rientra nel case study che dalla cronaca sarà consegnato alla storia, consultabile da studiosi, accademici, storici interessati alla Chiesa, alla religione, alle sette.
Avendone contribuito alla documentazione fontale, dietro invito del Decano di Facoltà, abbiamo il piacere di fornire qualche anticipazione che segue per il bene comune e a monito per le nuove generazioni.
Il manellismo, nella sua pretesa teologica, è la riproduzione di un’antica eresia: il montanismo.
Anche il montanismo non aveva un vero apparato dottrinale, si basava invece sulla dottrina cristiana modificata da una serie di comportamenti e precetti.
I contrasti con la Chiesa cattolica erano sorti perché i montanisti affermavano la superiorità dei loro profeti sul clero istituzionale e permettevano, in aperto contrasto con la Chiesa “ufficiale”, la partecipazione delle donne ai riti, soprattuttola loro centralità nelle rivelazioni e nelle profezie: Massimilla e Priscilla su tutte.
Quanto alle dinamiche del montanismo, il Manelli ha sempre esaltato e coesi i suoi “sudditi” proprio sull’argomento dellapresunta superiorità morale e dottrinale rispetto agli altri chierici e religiosi.
Il termine dispregiativo che racchiudeva la sua acredine verso gli altri consacrati era: “suore/ frati rilassate/i”.

Il Manelli inoltre aveva sviluppato una sorta di “sacro femminineo” assolutizzando e adulterando grossolanamente una ben più felice intuizione mistica di S. Massimiliano Kolbe  nella quale parlava di “transustanziazione” nell’Immacolata con chiara lettura retorica e interpretativa di tipo analogico più che ontologico.
Il Manelli la rivolgeva  alle “sue” suore per autoesaltarle nel loro narcisismo muliebre spingendole materialmente verso un’altra eresia: l’ecclesio-angelismo.
Si tratta della credenza errata che la Chiesa, per essere la vera Chiesa deve per forza essere perfettissima e tutti i suoi membri devono essere dei santi come gli angeli: immacolati.
Nell’instant book autoreferenziale, “La leggenda francescana dell’Immacolata” nella quale il Manelli celebra sé stesso all’indomani della separazione dai Conventuali, dissimula la sua paternità letteraria con lo pseudonimo di Italo Cammi che letto a rovescia significa: immacolati.
Il Manelli, dopo aver citato un sublime insegnamento di S. Chiara,  in una circolare a frati e suore del 29 Novembre 2011 – di cui ci è stata data una copia – si esprimeva così in una sorta di monologo –rimprovero-delirio:
 E allora?… E allora si vede che siamo ben lontani dal vivere ciò che insegna San Bonaventura sulla vita contemplativa nei riguardi di San Francesco e dei figli di San Francesco!
Il Dottore Serafico, infatti, a proposito dei contemplativi  (contemplantium),
 parla dell’Ordine di coloro che attendono a Dio (Ordo vacantium Deo), secondo un modo ‘sursumattivo’, ossia estatico o eccessivo“.

Nel II secolo i vescovi Zotico di Cumana e Giuliano d’Apamea, furono talmente preoccupati dalle finte o ricercate estasi che, dopo la morte di Montano, tentarono senza successo di esorcizzare Massimilla a Pepuza, profetesse montaniste che si spacciavano per vergini ma che in realtà avevano abbandonato i loro mariti.
Ora, se il Manelli (o chi per lui ha scritto il testo) avesse davvero studiato S. Bonaventura con rigore scientifico e non ideologico, saprebbe che il Dottore Serafico dice che 
il rischio più grave è quello di fraintendere una felice intuizione o un momento di consolazione col raggiungimento della meta.

Si cade allora nel pericolo di insuperbirsi per avere semplicemente ricevuto un dono o un invito alla conversione.
Non basta mostrare con tutta la possibile insistenza che la contemplazione è possibile e sensata solo se si accetta di divenire progressivamente degni del dono in virtù di una coerente opera di assimilazione all’oggetto stesso della contemplazione.
Si contempla divenendo diversi; e si diviene diversi non per un attimo di intelligenza, meno ancora per un sentimento devoto, ma per una rigorosa assunzione di responsabilità.
I mezzi impiegati per l’ecclesio-angelismo producevano giocoforza il volontarismo pelagiano e la mondanità spirituale.
Di quest’ultima parleremo più avanti.
Un importante ruolo nella corruzione del Padre Manelli è stato esercitato da Marcella Perillo, già Madre Maria Francesca.
Non è mai stato molto limpido il rapporto tra i due e la reciproca influenza psico-affettiva e delirio-dottrinale.
Questa ragazza, descrittaci come un tempo magrolina e bionda, sensuale e capricciosa, venne imposta poco meno che trentenne al rango di superiora generale dal Manelli.

Nel 2009 ebbe si tolse lo sfizio di inaugurare all’interno delle Suore Francescane dell’Immacolata un ramo esclusivamente claustrale chiamato “Il Colombaio” e diventarne ancora una volta la superiora. Quest’esperienza, allontanandosi dall’ispirazione originaria della vocazione kolbiana delle Suore Francescane dell’Immacolata, scivolò in forme ibride di monachesimo.
Sfocia nel ridicolo la rivalità (gelosia isterica) con le Clarisse dell’Immacolata che la Perillo riteneva concorrenziali alla sua esperienza “ecclesiale”.
Fu un totale fallimento che portò alla sua soppressione da parte della CIVCSVA durante il regime commissariale.
Il Colombaio rivelò, oltre ad abusi di governo contro la dignità umana, pratiche ascetiche che scimmiottavano anacronisticamente l’epoca barocca delle più strutturate, pertinenti e complesse riforme teresiane e clariane come quella di S. Veronica Giuliani.

Si passava dal marchio a fuoco sui petti delle monache del trigramma IHS alle “pungiute” per siglare un patto di sangue col Fondatore. In virtù del memento mori  si esponevano teschi umani in refettorio (trafugati chissà da quale ossario) e si mangiava mettendosi in ginocchio.

Sembra che la Perillo, oltre alla quotidiana autoflagellazione, amasse anche farsi flagellare e infierire colpi sulle suddite.
Un’accurata osservazione psicologica rivela nel Manelli e nella Perillo, il suo alter ego al femminile, il comune denominatore di chiare sintomatologie psicotiche e non semplicemente nevrotiche.
La storia ha registrato più di un caso di suore uscite dal convento per disturbi psichiatrici.
Eclatante il caso della religiosa che pur di fuggire dal monastero-colombaio di St. Magwan in Cornovaglia, scavalcò il muro di cinta fratturandosi una gamba! Ad Alassio un’altra suora (la nipote del Manelli) soffriva talmente la solitudine che di nascosto teneva un gabbiano nella cella.

La “colombina” pochi anni più  tardi uscì dal “Colombaio” e trovò il suo piccione con il quale convolare a nozze deponendo il velo… pietoso.
I montanisti erano inoltre convinti che le profezie dei loro fondatori completassero e riscoprissero la dottrina proclamata dagli apostoli.
Più volte il Manelli veniva da tanti considerato un oracolo, grazie anche alla promozione sconsiderata dei suoi parenti e figlie spirituali che per troppo esaltarlo lo hanno consegnato al ludibrio.

Più di una volta il Manelli ha pubblicamente annunciato scismi, attentati al papa, cataclismi, giorni di buio, carestie, prelatura personale per i lefebvriani…

Peggio ha rivelato date, luoghi e circostanze mai verificatisi malgrado le sue monache e figlie spirituali avessero fatto provvista di ceci, farina e candele benedette dal Padre Manelli per sopravvivere alla “tre giorni di buio”.

Di questo abbiamo raccolto documentate testimonianze.
I montanisti erano anche convinti che i cristiani che uscivano dalla grazia divina non potevano redimersi, in contrasto con l’idea cristiana che il pentimento potesse portare ad una remissione dei peccati da parte della Chiesa.
Il Manelli, specie negli ultimi anni del suo governo, ripeteva spesso la frase: semel malus, sempre malus. Con essa voleva intendere l’incapacità di una suora e di un frate di rialzarsi dopo una caduta qualsiasi.
Secondo la visione montanista, i profeti erano messaggeri di Dio, e parlavano in sua vece ai credenti: “Io sono il Padre, il Figlio ed il Paraclito”, diceva Montano, in modo simile a come facevano i profeti dell’AT.
Il Manelli si era autoproclamato “Il padre comune” per esprimere così il suo imperio su suore, frati e laici.

Uno Zeus dell’Olimpo cattolico benché dotato di tutti i difettucci, vizi e fragilità delle divinità greche.

I montanisti osservavano, inoltre, periodi di digiuno molto severi, erano inflessibili con chi commetteva i peccata graviora(adulterio, omicidio, apostasia) ed arrivavano a condannare coloro che scappavano durante le persecuzioni lodando, anzi, l’autodenuncia.
Le suore francescane dell’Immacolata avevano l’obbedienza, sotto obbligo di coscienza, di denunciarsi in caso di trasgressioni al Galateo (!) cioè un testo manualistico- casistico e… incasinato su una serie di precetti da osservare in contraddizione col Vangelo, il Diritto Canonico, la Legge Civile e la Morale cristiana.

Tuttavia il vero punto focale del movimento montanista era lo spirito millenarista, l’attesa della Parusia, suggerita, forse, dall’influenza sul mondo cristiano dell’epoca che ebbe l’Apocalisse di Giovanni. Tale credenza aveva come conseguenza la totale assenza di interesse per il mondo e per la storia, ritenute cose che presto sarebbero finite. La stessa credenza rendeva i seguaci della dottrina montanista moralmente poco flessibili.

Era esattamente quanto stava accadendo all’interno dei conventi dei frati e delle suore governati dal Manelli.

Il millenarismo – in questo caso – serviva soprattutto ai laici per indurli ai lasciti testamentari.

Fu così che il Manelli in meno di venti anni cumulò immobili per trenta milioni di euro intestati a due Associazioni pubbliche di Diritto privato, dove, dopo aver ingannato il notaio e commendatore Edgardo Pesiri di Avellino, estromise i religiosi dalla compagine associativa e inserì parenti, amici e amici degli amici.

Commise sottrazione e distrazione di beni ecclesiastici per la qual cosa si potrebbe arriva come pena canonica fino alla riduzione allo stato laicale come per il recente caso del deposto cardinale Theodore Edgar McCarrick arcivescovo emerito di Washington D.C.

Il Manelli ormai non potrà ancora contare per molto sulla protezione di cardinali corrotti e sul gioco della ricattabilità politico-ecclesiale.

Come si esercitava nei manelliani la mondanità spirituale neo-montanista?

Attraverso l’autoreferenzialità!

Sotto pretesto di una chiesa eretica e scismatica il Manelli aveva creato un suo seminario con annesso studio “filosofico e teologico”: lo STIM.

Papa Francesco cita spesso Henri de Lubac che nel suo libro «Meditazioni sulla Chiesa», del 1953, definisce la mondanità spirituale come «il pericolo più grande per la Chiesa:  “Per noi, che siamo Chiesa, la tentazione più perfida, quella che sempre rinasce, insidiosamente, allorché tutte le altre sono vinte, alimentata anzi da queste vittorie”».

Fu il benedettino tedesco, naturalizzato inglese, dom Anscar Vonier O.S.B. (1875-1938) a parlare di mondanità spirituale prima ancora del De Lubac.
I suoi libri sono ancora oggi ristampati in inglese e si leggono con grande piacere e profitto – è molto attento all’influenza degli angeli, buoni e cattivi, sulla nostra anima. Il contesto è un capitolo sui doni dello Spirito Santo e su come il peccato contro lo Spirito Santo consista nell’«estinguere lo Spirito», nel sottrarsi consapevolmente alla sua influenza. Questo è stato il peccato di Lucifero. In quanto angeli, spiega Vonier, Lucifero e i suoi seguaci «non potevano peccare a causa delle passioni, il loro unico rischio era quello che si compiacessero di se stessi, dei loro stessi doni, perfino dei loro poteri soprannaturali, senza più affidarsi alla volontà che era al di sopra della loro, al movimento dello Spirito». I poteri soprannaturali di tutti gli angeli, compresi quelli di Lucifero, erano una cosa buona. Quello che non era buono era amarli per se stessi, usarli per se stessi, «rifiutarsi di andare dove lo Spirito conduce».
Questo ha conosciuto il manellismo!

Quando nella storia si conseguono tanti «risultati umani», si conquista anche tanta «gloria temporale»: missioni, opere, vocazioni di cui si vantava un Manelli applaudito come «eccellenza» della Chiesa.
E’ qui che sorse la «mondanità». Spesso intendiamo per mondanità della Chiesa «l’amore della ricchezza e del lusso di certi suoi dignitari»: questo è male, certo, «ma non è il male principale». La Chiesa ha sempre trovato forze per superare abbastanza rapidamente le crisi di mondanità materiale. Ha avuto molte più difficoltà con la mondanità spirituale.
Non senza l’intervento del Demonio, la mondanità spirituale parte da un rifiuto ostentato – talora, peraltro, anche sincero – della mondanità materiale. L’uomo di Chiesa che è vittima della mondanità spirituale non si compiace di lussi e di ricchezze. Può anche vivere in estrema povertà, e convincersi di stare dando l’esempio di una morale particolarmente elevata. In realtà, sta preparando qualcosa che dom Vonier definisce «disastroso» per la Chiesa. Può darsi che la moralità del mondano spirituale sia davvero elevata. Ma i suoi «standard morali sono fondati non sulla gloria di Dio ma sul profitto dell’uomo: uno sguardo completamente antropocentrico sarebbe esattamente quello che intendiamo per mondanità. Anche se gli uomini fossero pieni di ogni perfezione spirituale, ma queste perfezioni non fossero riferite a Dio (supponendo che questa ipotesi sia possibile), si tratterebbe di una mondanità incapace di redenzione». Si tratta, ancora, di mondanità «spirituale» e non solo morale, perché alla fine la stessa spiritualità si corrompe, trasformata dalla «mondanità della mente» in una spiritualità dell’uomo e non più di Dio.
Dom Vonier è molto severo. «Se il Cristianesimo – scrive – dovesse mai abbassarsi al livello di una perfetta società etica il cui solo scopo fosse la promozione della prosperità umana, o perfino la promozione della moralità umana, la Chiesa sarebbe così completamente apostata come lo è Lucifero stesso: avrebbe negato lo Spirito, avrebbe rifiutato di seguirlo dove vuole condurla, avrebbe preferito piacere agli uomini piuttosto che a Cristo e avrebbe fatto dell’applauso umano la sua suprema ricompensa».
La mondanità spirituale è dunque insieme il più grande peccato e la più grande «catastrofe» per la Chiesa. Lo illustra dom Vonier, che è alle origini del concetto e che varrebbe la pena di conoscere meglio, lo ripete de Lubac citando ampi brani di dom Vonier. E oggi lo insegna Papa Francesco, quel Papa che il Manelli dichiara pubblicamente “un massone e impostore che vuole distruggere la Chiesa”.

Léon Bloy diceva: «Quando non si confessa Gesù Cristo, si confessa la mondanità del diavolo, la mondanità del demonio».

E’ il peccato del Manelli; è il peccato dei Manelliani.

I.F.S.

Faro di Roma: L’abolizione dell’Ecclesia Dei rappresenta una buona notizia (di M. Castellano)

Quando abbiamo saputo che il Papa aveva abrogato la “Ecclesia Dei”, ci è venuto in mente un proverbio della nostra America Latina.
Chi ci ha vissuto sa che ad ogni ospite, a tutte le ore del giorno, è d’obbligo dire “Quedate a comer”, rimani a mangiare insieme a noi: la casa però – si usa affermare – è aperta a tutti, salvo a chi ci entra per distruggerla.

Lo sforzo per riassorbire i cosiddetti “lefebvriani”, per quanto intrapreso da parte della Santa Sede in assoluta buona fede, per di più nella certezza – rivelatasi purtroppo illusoria – di raggiungere il risultato sperato, era destinato in partenza a fallire.

L’emanazione della “Ecclesia Dei” non era stato soltanto un gesto di buona volontà, destinato a propiziare l’esito positivo del negoziato, bensì qualcosa di più sostanziale: un anticipo pagato alla controparte dando per scontato – non sappiamo assolutamente in base a che cosa – il raggiungimento di un accordo.

Tale accordo però – allo stato dei fatti – risulta impossibile.
I cedimenti alle pressioni della parte avversa, in mancanza della necessaria buona volontà reciproca, ricordano sempre la famosa frase di Chirchill: “Avete voluto evitare la guerra al prezzo del disonore; avrete la guerra e il disonore”.
Ci si domanderà – da parte degli Avvocati d’ufficio della Curia Romana – dove è il disonore.
Esso consiste nell’avere lasciato la piena libertà, goduta da quei soggetti che sono rientrati alla spicciolata nella Chiesa Cattolica, di agire – se non tutti, certamente in buona parte – come il classico Cavallo di Troia.
Per rendersene conto, basta udire i loro discorsi.

C’è chi afferma che il Papa ha dato ragione a Lefèbvre, e c’è chi preconizza la piena accettazione – da parte del Vaticano – delle sue tesi.
Si tratta in entrambi i casi di asserzioni assolutamente non veritiere, alle quali però si è evitato di opporre una chiara, netta e solenne smentita.
La linea prevalente consiste nel “lasciarli parlare”, dato che prima o poi – questa era la speranza, rivelatasi infondata – i “lefebvriani” sarebbero tornati tutti all’ovile.

Essi invece possono ora giocare su due tavoli: quello interno alla Chiesa mediante gli infiltrati, e quello esterno, che potendoli manovrare come dei burattini.
La vicenda dei Francescani dell’Immacolata risulta esemplare a questo riguardo.

Padre Stefano Maria Manelli, dopo la chiusura del suo Seminario da parte del Commissario Apostolico Padre Fidenzio Volpi (un gesto pagato con la vita da questo esemplare servitore della Chiesa), è riuscito a mantenere coeso il nucleo dei suoi fedelissimi, malgrado dal punto di vista del Diritto Canonico essi non si possano più considerare né studenti, né novizi: il noviziato, infatti, può essere svolto soltanto nell’ambito di un Ordine religioso riconosciuto dalla Santa Sede.
Questo gruppo di fanatici ha proseguito la propria convivenza spostandosi da un convento all’altro: tutti presi in affitto da Vescovi compiacenti.

Ci domandiamo però quali argomento – a parte quelli economici, sempre molto eloquenti – fossero stati usati da Padre Manelli per ottenere che certi Ordinari chiudessero tutti e due gli occhi sul suo comportamento illegale, giungendo al punto di sostenerlo.
Uno di questi Vescovi è lo stesso che insulta pubblicamente il collega di Bologna, e per giunta rilascia interviste in cui critica il Papa.

La frottola propalata dal Manelli consisteva nell’asserire che il suo fantasmatico nuovo Istituto sarebbe stato accolto nella Chiesa in base alle norme della “Ecclesia Dei”.
Dal punto di vista giuridico, si trattava di uno strafalcione, dato che questa norma può soltanto essere applicata a soggetti già in possesso della personalità giuridica di Diritto Canonico.

I “nuovi” Francescani dell’Immacolata dovevano dunque previamente essere riconosciuti come Istituto dalla Congregazione competente, cioè quella già dei Religiosi.
Il cui Prefetto ed il cui Segretario – almeno in questo – si erano dimostrati solidali con il Commissario Apostolico, avvisando che non l’avrebbero mai concessa.
Pare d’altronde che nemmeno sia stata presentata una istanza formale.

I “Manelliani” continuavano però ad apparire in giro per l’Italia come il mitico “Olandese Volante” sui Sette Mari, invocando come usbergo la “Ecclesia Dei”.
Basterebbe questa vicenda per dimostrare come non si deve essere troppo buoni, quanto meno se si ha a che fare con dei malintenzionati.
Ora le porte non non sono del tutto chiuse, ma il Papa ha stabilito che le nuove richieste di accesso ai benefici previsti dalla “Ecclesia Dei” dovranno passare al vaglio dell’ex Santo Offizio, guidato da un gesuita catalano astuto ed energico, per giunta bergogliano di ferro.

Il terrore dei “Progressisti” si è trasformato – per una sorta di nemesi storica – in terrore dei tradizionalisti.
Sui quali incomberà l’onere di provare che non vogliono rientrare in casa nostra per comportarsi come il classico elefante nel negozio di cristalli.

E’ un vero peccato che i giornalisti non siano ammessi alle “Congregazioni Generali” dell’ex Santo Offizio: sarebbe molto divertente assistere alle acrobazie giuridiche dell’avvocato Artiglieri.

Mario Castellano

 

http://www.farodiroma.it/labolizione-dellecclesia-dei-rappresenta-una-buona-notizia-di-m-castellano/

Faro di Roma: Nella Chiesa ci sono ancora stupri ai danni delle suore. Papa Francesco: Benedetto XVI li ha combattuti con coraggio

“Papa Benedetto ha avuto il coraggio di sciogliere una congregazione femminile che aveva un certo livello, perché c’era entrata questa schiavitù, anche persino sessuale, da parte dei chierici o da parte del fondatore. A volte il fondatore toglie la libertà alle suore, può arrivare a questo. Vorrei sottolineare che Benedetto XVI ha avuto il coraggio di fare tante cose su questo tema”. Lo ha ricordato Papa Francesco rispondendo ai giornalisti sui casi di stupro subiti da religiose.

“C’è un aneddoto: il cardinale Ratzinger – ha raccontato Bergoglio rendendo omaggio al predecessore – aveva tutte le carte su una organizzazione religiosa che aveva dentro corruzione sessuale ed economica. Lui provava a parlarne e c’erano dei filtri, non poteva arrivare. Alla fine il Papa, con la voglia di vedere la verità, ha fatto una riunione e Joseph Ratzinger se né andato lì con la cartella e tutte le sue carte. Quando è tornato, ha detto al suo segretario: mettila nell’archivio, ha vinto l’altro partito. Non dobbiamo scandalizzarci per questo, sono passi di un processo. Ma appena diventato Papa, la prima cosa che ha detto è stata: portami dall’archivio questo. Il folklore lo fa vedere come debole, ma di debole non ha niente. È un uomo buono, un pezzo di pane è più cattivo di lui, ma è un uomo forte”.

“Su questo problema (delle violenze sessuali subite da religiose da ecclesiastici): preghi che possiamo andare avanti. Io voglio andare avanti. Ci sono dei casi. Stiamo lavorando”, ha continuato Francesco rispondendo a una giornalista che gli chiedeva su un articolo dell’Osservatore che denuncia l’abuso sessuale delle donne consacrate nella Chiesa da parte del clero. E qualche mese fa anche l’Unione delle Superiore generali ha fatto una denuncia pubblica. “Il maltrattamento delle donne – ha ammesso Bergoglio ai giornalisti che volavano con lui – è un problema. Io oserei dire che l’umanità ancora non ha maturato: la donna è considerata di “seconda classe”. Cominciamo da qui: è un problema culturale. Poi si arriva fino ai femminicidi. Ci sono dei Paesi in cui il maltrattamento delle donne arriva al femminicidio. È vero, dentro la Chiesa ci sono stati dei chierici che hanno fatto questo. In alcune civilizzazioni in modo più forte che in altri. Ci sono stati sacerdoti e anche vescovi che hanno fatto quello”.

Il Papa ha anche confidato: “io credo che si faccia ancora: non è che dal momento in cui tu te ne accorgi, finisce. La cosa va avanti così. E da tempo stiamo lavorando in questo. Abbiamo sospeso qualche chierico, mandato via, e anche, non so se è finito il processo, dovuto sciogliere qualche congregazione religiosa femminile che era molto legata a questo fenomeno, una corruzione. Si deve fare qualcosa di più? Sì. Abbiamo la volontà? Sì. Ma è – ha concluso Francesco – un cammino che viene da lontano”.

Il riferimento di Papa Francesco è all’istituto dei Francescani dell’Immacolata, già commissariato nel 2013 dalla Santa Sede e osservato speciale della Guardia di Finanza per presunta truffa aggravata e falso ideologico: un giro di abusi, fisici e psicologici, in particolare presunti abusi, atti di libidine e prevaricazioni attuate dal fondatore Padre Stefano Maria Manelli, che rendono ancora più sordido quel mondo sommerso di ingenti movimenti di denaro, e di beni mobili e immobili che padre Stefano Maria Manelli aveva affidato illecitamente a laici, su cui sono puntati i riflettori degli inquirenti.
Ma ha turbare è proprio la figura del fondatore dell’Istituto, accusato da decine di suore ed ex-religiose, alcune delle quali avrebbe costretto a prostituirsi ai “benefattori”. “Si parla – ha scritto l’Huffington Post – di fanatismo, culto idolatrico verso il fondatore della Comunità e dei suoi presunti atteggiamenti autoritari, possessivi e narcisisti, volti al controllo assoluto e incondizionato di frati e suore, molti di cui stranieri, nel convento di Frigento e negli altri sparsi in tutta la Penisola. Padre Manelli avrebbe, secondo l’accusa, colpito le suore con vessazioni costanti, ricatti e mortificazioni. Tutto per ottenere la fedeltà assoluta delle religiose. Un patto di fedeltà che sarebbe stato siglato con il sangue: alle suore, ritengono infatti gli inquirenti, sarebbero stati punti i polpastrelli con l’ago”

 

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